Recensioni “Troppi (ormai) su questa vecchia chiatta”
La Repubblica
5-02-2017
Maura Sesia
L’inizio sconcerta, con lo scafista su un prolungamento della scena che avvicina parecchio l’azione agli spettatori: l’uomo plumbeo si rivolge alla platea, dando le ultime informazioni sull’imbarco o chiedendo se ci sono clandestini. Nella sala ancora illuminata c’è un educato malcontento, tanto è verosimile l’interpretazione di Ture Magro nel ruolo ingrato del traghettatore. Arcigno, furbo, minaccioso, è lo scafista e altre figure di questo Troppi (ormai) su questa vecchia chiatta di Matèi Visniec, realizzato da Acti Teatri Indipendenti con la regia di Beppe Rosso e le scene di Lucio Diana, che ha debuttato in prima nazionale al Teatro Gobetti di Torino.
Una messinscena modulare, tipica dell’autore rumeno naturalizzato francese, scritta di getto per contenere in una partitura drammaturgica un accadimento in fieri e dai confini fortemente sfumati.
La migrazione globale è la rivoluzione di oggi, con le sue vittime, le reazioni e il suo carico di cambiamenti. Così sul palco si materializzano situazioni contemporanee che potrebbero avvenire in tutta Europa e nello spazio di mare tra il vecchio continente e l’Africa. C’è un leader di partito (Beppe Rosso) che prepara, a più riprese, un suo discorso sul tema migranti: grazie all’impietosa collaborazione di una giovane stratega (Miriam Fieno) allenata al massacro della realtà in nome della lallazione politica, il capo riesce a confezionare un linguaggio del nulla, che nessuno contenti e nemmeno ferisca, ma soprattutto non affronti il problema. C’è il nero immigrato (Bamba Seck) a cui un fedifrago faccendiere sottrae organi, un rene e un occhio e poi, magari, la vita. C’è il quadro toccante di una donna araba (Paola Di Mitri): rivendica la libertà di cantare avvolta sempre più strettamente in fasce di stoffa nera che ne impediscono ogni movimento finché la sua canzone non sarà che il silenzio stridente. Infine un gruppo di migranti si rivolge a noi, gli accoglienti, spiegando che hanno oltrepassato deserti e mare perché dubitano della vita dopo la morte e vorrebbero vivere pienamente questa esistenza, loro e nostra. Hanno occhi che ridono. Non hanno paura, loro.
www.remobassetti.it/il-nuovo-giudizio-universale/troppi-ormai-su-questa-vecchia-chiatta/
1/02/2017
Giulia Stock
Una nonna siriana che cerca la tomba del nipotino naufragato a Lampedusa, un politico europeo che discute con una cinica consulente di comunicazione, uno scafista con un’etica tragicamente impossibile da rispettare, un trafficante d’organi che lusinga la sua vittima: sono alcuni dei personaggi che fa sfilare Beppe Rosso nel suo ultimo lavoro “Troppi (ormai) su questa vecchia chiatta”. La pièce è un montaggio di una ventina di brevi scene drammatiche, molte con personaggi ricorrenti, tutte sul tema dei migranti.
Il regista e attore torinese da sempre racconta gli ultimi, che siano sfruttati sul lavoro, rom, barboni, o prostitute – esemplare la “Trilogia dell’invisibilità” progetto d’inizio anni Duemila. Questa volta porta in scena un testo di Matei Visniec, drammaturgo, poeta e giornalista romeno naturalizzato francese dopo la richiesta d’asilo negli anni di Ceausescu. Un testo di impatto immediato, che mette in luce il groviglio di questioni morali che la migrazione pone, con da un lato la paura di chi parte e l’ineluttabilità della fuga, dall’altro la paura e l’impreparazione di chi vede arrivare il diverso. Eccezionali, nella loro esilarante durezza, i (visionari? forse ancora per poco) siparietti sulle varie “fiere della sicurezza”, in cui signorine discinte pubblicizzano i più incredibili arnesi per proteggersi dal clandestini. Invece, mentre racconta le vicende dei migranti, il suo essere letteralmente esemplare è forse l’unico limite del testo, perché la volontà militante rischia di far diventare la galleria di personaggi, con relativo svolgersi di tragedie possibili, un filo didascalica. Restano momenti di grande impatto emotivo, che si stagliano sulla scena spoglia con la forza di una tragedia classica.
Tra gli attori, eccezionale la versatilità di Miriam Fieno, che in pochi minuti passa da interprete addolorata a consulente severa a soubrette idiota, e irrefrenabile la capacità di creare empatia di Bamba Seck, perfino nei panni di aiutante omicida di scafista.
Beppe Rosso porta come sempre in dote a tutti i personaggi la sua grande umanità, tirando fuori, con comprensione, i limiti e le piccolezze che guidano le azioni di ognuno di noi. Ancora una volta, fa un vero teatro di impegno civile.
La Stampa
25/01/2017
Osvaldo Guerrieri
Dio non è un meccanico. E neppure è un fusto di benzina. Se lo fosse, i motori dei gommoni che imbarcano acqua, o si spengono per mancanza di carburante, continuerebbero a funzionare. Invece le cose non vanno così. Lo scafista non è tenero mentre parla al gruppo di migranti che sta traghettando in Sicilia. Spiega che sulla barca sono in troppi, c’è gente che non ha pagato e ora il peso è eccessivo. Se si vuole arrivare in porto è necessario buttare in mare qualcuno.
E’ un momento di “Troppi (ormai) su questa vecchia chiatta”, il dramma di Matéi Visniec messo in scena e interpretato da Beppe Rosso, cui dà man forte un incisivo e variegato quartetto d’attori. Visniec è un drammaturgo romeno censuratissimo sotto il regime di Ceausescu. Ha potuto esprimersi e lavorare liberamente solo dopo avere abbandonato la Romania e ottenuto asilo politico in Francia (nel 1987). Qui finalmente ha avuto modo di rappresentare e pubblicare il suo teatro che, squisitamente politico, ci appare imperniato sulla figura dell’uomo pattumiera.
E quale uomo, oggi, è più pattumiera del migrante in fuga da una vita insostenibile? Il dramma di Visniec ce lo presenta da prospettive differenti senza mancare di collocarlo, quand’è il caso, sotto una luce surreale, stralunata, grottesca. Assistiamo per esempio alla vendita dei “rilevatori di battito cardiaco”. Volete sentire? Così battono i cuori di una famiglia afghana braccata, quest’altro è il tum-tum sempre più flebile di un eritreo che sta per annegare. Oggetto indispensabile in questa materia è il salvagente. Spesso è taroccato e affonda facile. Visniec ce lo mostra in un défilé che né Milano né Parigi hanno mai proposto: corpetti di tutte le fogge e per ogni circostanza, compresi quelli da sera con lustrini e piume.
“Troppi (ormai) su questa vecchia chiatta” ha una struttura modulare. Si compone di episodi staccati l’uno dall’altro, indipendenti e perciò suscettibili di spostamenti e di incastri senza che la sua natura ne esca modificata. Nell’assemblaggio di temi e figure troviamo un politico. Sta preparando un discorso con cui dovrebbe illustrare una linea d’accoglienza, ma la sua assistente corregge e cambia, dà fondo alle ambiguità ed esagera col “politicamente corretto” che occulta la disarmante mancanza di visione politica. Non cercate un equivalente nella realtà: rischiate di azzeccarci.
Ma l’episodio più conturbante è quello del mercante di vite. Col suo tono untuoso costringe un povero diavolo, un uomo pattumiera, a vendersi un rene per arrivare a Birmingham. Poi, per consentirgli di chiamare a sé la famiglia, lo obbliga a vendersi un occhio e quando il ragazzo non ha più niente da vendere, gli mette in mano una pistola. Forse un terrorista nasce anche così. In fondo, dice Visniec, non è questo il tempo in cui “tutto si vende e tutto si compra”?
Un testo così duro, sarcastico, divertente sembra fatto apposta per Beppe Rosso, che da anni coltiva una sua visione di teatro civile. Rosso se ne è imbevuto, sembra averne assorbito echi e sfumature e quasi senza apparato scenografico, ma non senza eleganza visiva, ci fa entrare nelle stazioni dolorose di un dramma che è il dramma di tutti, il fenomeno epocale a cui nessuno sembra in grado di dare soluzione, neppure in termini teatrali. Con Paola Di Mitri, Miriam Fieno, Ture Magro e Bamba Seck, Rosso s’immerge risoluto in quest’acqua scura e ne emerge con un senso disarmato di acre pietà.