SOLITUDINE

uno spettacolo dal teatro partigiano di Beppe Fenoglio – adattamento Filippo Taricco e Beppe Rosso – con Beppe Rosso – regia Beppe Rosso – scene Lucio Diana – luci Cristian Zucaro – movimento Ornella Balestra – macchinista Marco Ferrero – una produzione ACTI Teatri Indipendenti – con il sostegno del Sistema Teatro Torino e Provincia – con la collaborazione della Fondazione Ferrero di Alba

anno di produzione 2013

Attorno all’atto unico Solitudine(pubblicato sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino nel febbraio del 1963, alcuni giorni prima della morte di Beppe Fenoglio) si snoda e si dipana la vicenda dell’intero spettacolo. Fenoglio negli ultimi anni, spinto dalla passione per il teatro, e dalla sua potente capacità dialogica, produsse una serie di scene e monologhi che, nella sua intenzione, avrebbero dovuto costituire un’opera teatrale compiuta.

Lo spettacolo porta alla luce e intreccia quelle scene e frammenti del teatro “partigiano” che ci permettono di intravedere lo scheletro d’insieme di questo lavoro incompiuto.

Siamo nell’inverno del ’44. In seguito all’ordine del generale americano Alexander, i partigiani si sbandano, e vivono “come marmotte, uno per collina”. I disagi della vita in comune lasciano il posto ad un’intollerabile solitudine. Un tempo sospeso che impone l’attesa. E le atmosfere del dramma a tratti si fanno beckettiane, altre volte drammatiche o paradossalmente ironiche.

E l’autore propone una nuova prospettiva: ciò che nei testi precedenti veniva letto come valore assoluto, come scelta senza compromessi, qui viene messo in discussione.

 Il “partigiano” e la sua condizione durante lo sbandamento, diventa problematica, il disagio si fa concreto ed esistenziale. Un dramma che a tratti mostra una perdita di coordinate e svela le paure di questi giovani ragazzi combattenti.

La scena si popola di personaggi mitici, tragici, sarcastici, contraddittori, inconciliabili con il mondo ma tremendamente umani.

Nel dramma di Fenoglio tutti i protagonisti sono soli. Parlano tra loro, ben sapendo che nessuno arretrerà dalle proprie posizioni. C’è la solitudine di Perez, il comandante partigiano, che conosce il suo dovere di militare, e sa di risultare odioso alla popolazione. C’è quella quasi animale di Sceriffo, che non resiste nascosto, e ha bisogno di sentir la voce di una donna. C’è la solitudine di Nick, più metafisica, simile a quella di Johnny. Ma c’è anche la solitudine del mugnaio, che non riesce a far sorridere la moglie, né ad imporre il buon senso ai giovani partigiani.

Fenoglio, che dopo un periodo di marginalità è ora considerato  uno dei principali autori del 900 italiano, con una scrittura dura e asciutta, dalle ambientazioni brutali e commoventi, riesce a restituirci l’essenza dello sbandamento, con una precisione che a volte appare più nitida di quella raggiunta nel suo romanzo Il partigiano Johnny.

Nello spettacolo le scene di Lucio Diana sono essenziali e materiche: corde, legno, coperte, semi, sedie, farina, tabacco, polvere ed un foglio di metallo sonoro. Cornici icastiche ed evocative che circoscrivono il racconto.

Solitudine è un viaggio nelle profondità di un passato che ci riporta echi e tracce di contemporaneità, la sospensione che aleggia nello spettacolo è condizione che oggi conosciamo molto bene: l’attesa che i tempi risolvano in meglio e il rapporto con un presente di pura difesa alle prese con una battaglia solitaria in attesa di un cambiamento che non arriva, ci riporta e fa risuonare l’oggi. Come nello spettacolo siamo in inverno, un inverno dell’anima, una specie di letargo pericoloso e guerreggiato, aspettando la primavera.