SENZA

Di Filippo Taricco, Beppe Rosso – in collaborazione con Francesco Suriano – con Beppe Rosso, Fabrizio Pagella, Piero Negrisolo, e Marco Ferrero – regia Paola Zecca, Beppe Rosso – assistenti alla regia Elena Cavallo, Fabiana Ricca – immagini video Armando Ceste – scenofonia Roberto Tarasco – disegno luci Massimo Violato – fonica Bruno Pochettino – una produzione ACTI Teatri Indipendenti – con il sostegno di Fondazione del Teatro Stabile di Torino, – Sistema Teatro Torino, Festival delle Colline Torinesi, Regione Piemonte

Anno di produzione 2005

Senza è lo spettacolo che conclude la Trilogia della Città Fragile.

Lo spazio scenico è vuoto, nero. Poche sedie. Luci livide e impietose. Un lungo tavolo grigio che diventa tavolaccio anatomico, su cui è steso un corpo nudo, indagato dalle mani indifferenti della scienza. E’ uno dei tanti uomini senza fissa dimora, senza soldi, senza salute, senza una parola che li possa comprendere e definire.

Un corpo che non può essere sepolto finché non gli sarà dato un nome.

E proprio dalla fine ha inizio il viaggio per raccontare una condizione impossibile da raccontare, un viaggio che procede per frammenti: temporali, emotivi, come la percezione di chi è costretto a vivere in strada, in uno spazio-tempo selvaggio, che non ha più nulla di umano.

Nello spazio scenico scorrono le immagini di un corpo nudo che si agita tra gli stracci come una creatura di Francis Bacon, le parole di un volontario che offre tè caldo agli indigenti, una comunità di recupero che diventa paradossale famiglia, uomini avviluppati in maglioni da cui fuoriesce un braccio, un respiro di sigaretta.

Negando la tradizionale linearità del percorso drammatico, Senza mostra i diversi volti della povertà, parla della nostra paura di non farcela e della condizione concreta di chi vive in strada, contenitore indifferenziato per tutti coloro che vi sono scivolati.

Il tempo si ferma, per chi vive in strada, non esiste più futuro essendosi cancellato ogni passato. Il tempo sociale lascia il posto a quello biologico, scandito da elementi primari: buio, luce, fame, freddo. Non esistono più sentimenti, solo sensazioni.

Come intuì per primo Beckett, la strada è palcoscenico originario prima di ogni scenografia o decorazione. I suoi abitanti vivono appieno solo il presente e abitano in una teatralità originaria: gettati sulla scena, sotto gli occhi di tutti, e insieme obbligati ogni giorno a rimettersi in gioco, a reinventarsi, a narrare se stessi pur essendosi dimenticati.

Lo spettacolo sceglie la forma del frammento per raccontare il dramma della disgregazione. Utilizza una drammaturgia “esplosa”, dove ogni linearità narrativa non è più adeguata. Non si indagano le cause della caduta ma si testimonia la fenomenologia della marginalità estrema che ogni giorno incontriamo sulle strade e di cui non sappiamo nulla, di cui abbiamo timore; anche perché “loro” sono specchio della nostra intima paura di cadere.