9 marzo 2016

CANTO DEL POPOLO CHE MANCA

dal libro di Nuto Revelli “Il Popolo che manca” Einaudi editori – con Marco Revelli e Beppe Rosso – ACTI TEATRI INDIPENDENTI

Nuto Revelli intervistò centinaia di contadini, scappava di casa per rincorrere quegli ultimi testimoni di una civiltà che stava sparendo. Da quelle interviste viene fuori un quadro di vita incredibile e nell’ultimo libro pubblicato da Einaudi nel 2014 “Il Popolo che manca”, ci si presenta come un grande canto corale. La serata richiama in vita lampi di questo canto epico con radici millenarie che fu spazzata via in poche decine di anni dal mito industriale. E’ un viaggio dentro un mondo che non c’è più; con la testimonianza diretta del figlio Marco Revelli, commenti, letture interpretate e spezzoni di film e audio originali con la voce di Nuto. Una “Veglia” come quelle riportate dalle testimonianze, per raccontare un mondo duro fatto di terra e pietra che conosceva però il fantastico: un’immaginazione scatenata fatta di masche, ciulest, spirit foulet, magia e superstizione, alimentata, appunto, dalle veglie nelle stalle, teatro di micro-comunità dove l’arte del narrare si esaltava. Non c’è nostalgia ma semplicemente ii far risuonare e dare corpo a quelle voci legate indissolubilmente al territorio, che in questo caso è quello del sud Piemonte, ma che potrebbe essere assolutamente analogo a quello di qualsiasi altra regione d’Italia. Una “Spoon River” contadina da dove emerge una certa attualità: son bastati 30 anni di illusione industriale per distruggere le tradizioni di un mondo millenario, ed ora la caduta della FABBRICA rivela il VUOTO in cui siamo finiti, quasi senza accorgercene. E dopo un secolo, esaurita l’iperbole del progresso industriale, ci ritroviamo in una società nuovamente diretta verso una condizione simile ad allora: pochissimi ricchi e una moltitudine di poveri. Ma una povertà senza più una possibile epica narrabile se non con senso di sconfitta. Per non parlare di economia sostenibile ed ecologica del territorio che ci fa apparire paradossalmente interessante ed attuale il “canto” di quel popolo. E allora da quel popolo perduto qualcosa si può ancora imparare.