LA COMMEDIA DELL'AMORE - JACK E JILL

Di Jane Martin – traduzione Filippo Taricco – regia Beppe Rosso – con Sara Bertelà e Jurij Ferrini – servi di scena Sara Brigatti e Francesco Mina – scenografia Paolo Baroni luci Cristian Zucaro – costumi Monica Di Pasqua musiche Fabio Viana – una produzione ACTI Teatri Indipendenti – Fondazione Teatro Stabile di Torino – Asti Teatro 30 – Residenza Multidisciplinare di Rivoli

anno di produzione 2009

Dopo il successo riportato con l’allestimento di Keely and Du di Jane Martin, Beppe Rosso mette in scena un’altra pièce della drammaturga americana: La Commedia dell’Amore-Jack e Jill scritta nel 1998. Keely and Du portava l’attenzione su un tema capitale quale quello dei diritti delle donne, qui invece il registro è quella della commedia sofisticata.

Due attori d’eccezione: Jurij Ferrini e Sara Bertelà interpretano Jack e Jill (che indicano in una antica filastrocca inglese la coppia per eccellenza) incarnando una dinamica che nella Hollywood classica è stata di coppie celebri. Due quarantenni, realizzati a metà, cercano di completarsi in una storia d’amore, nata per caso, che ha i crismi di una passione fatale, con enfasi, separazioni, giuramenti e maledizioni. Non c’è un terzo a mettere in crisi il ménage, non è un triangolo come nel teatro ottocentesco, non ci sono amanti o pretendenti, nessuna minaccia dall’esterno, nessun impedimento, eppure, tra Jack e Jill, c’è una paradossale irresolutezza alle prese con i ruoli di uomo donna non più definibili, instabili, ambivalenti. Sono esasperati, nel loro tentativo di felicità: cercano inutilmente di sviscerare i problemi, tra slanci romantici e momenti di egoismo, divisi tra il bisogno di sicurezza e le ambizioni di carriera e libertà.

La felicità, nell’occidente consumistico, è un sogno e l’incontro parte dalla lettura casuale e comune di un libro, come se fosse una paradossale versione della storia di Paolo e Francesca, per approdare a un itinerario pieno di sorprese. Capitolo più leggero della trilogia composta da Keely and Du e da Flags, il testo di Jane Martin indaga senza esclusione di colpi su un meccanismo sempre dato per scontato e che in realtà è sempre da reinventare. Le risate sono tante, talvolta dolci, ma spesso amare, sferzanti, i fendenti sono menati sia al mondo maschile, che a quello femminile, in una sequenza di rivelazioni per via comica, che dichiarano come le promesse dell’inizio fossero evidentemente infondate. Eppure il riso diventa infine anche elemento di liberazione, dato che tutti in qualche modo viviamo o abbiamo vissuto analoghi momenti di vuoto e di tragedia che visti a distanza risultano addirittura ridicoli, farseschi. Una scrittura che per certi versi richiama il fraseggio e le situazioni della migliore commedia americana, dove Harry ti presento Sally incontra un sofisticato sguardo sociologico, alla Susan Sontag, per raccontare di comportamenti quotidiani, esaminati sotto la lente spietata di un microscopio. Inoltre i due personaggi a volte, attraverso brevi monologhi, si confessano, interpellano direttamente il pubblico sulle assurdità che attraversano la condizione della coppia attualmente

I tagli, la velocità delle battute, le scene che entrano una nell’altra senza soluzione di continuità: la storia d’amore si snoda fino al divorzio sotto gli occhi dello spettatore seguendo un montaggio dove ogni buio indica anche un cambio di emozione, una diversa sensazione, fino a che, dopo che la storia è finita e ripresa varie volte, sembra balenare un possibile finale meno drammatico, una composizione dei conflitti. La scenografia gioca con riferimenti all’arte contemporanea, con elementi sospesi e in movimento che di volta in volta si concretizzano in tavolo, letto o in altri elementi strettamente necessari allo sviluppo della storia, con una dimensione che è allo stesso tempo quotidiana e simbolica