KELLY AND DU

Di Jane Martin – traduzione di Filippo Taricco – regia di Beppe Rosso – con Barbara Valmorin, Federica Bern, Alessandro Lombardo, Beppe Rosso – servo di scena Francesco Mina-scenografia Paolo Baroni – luci Cristian Zucaroì – costumi Marzia Paparini – musiche Fabio Viana – tecnico Davide Rigodanza – produzione Fondazione Teatro Stabile di Torino – ACTI Teatri Indipendenti – con il sostegno del Sistema Teatro Torino

anno di produzione 2008

Keely and Du, è una commedia scritta da Jane Martin, drammaturga americana che con questo testo è stata candidata al Premio Pulitzer e ha vinto il Premio Nazionale della Critica negli Stati Uniti. La commedia, per la prima volta rappresentata in Italia, affronta il problema etico dell’aborto, sollevato con veemenza nell’attuale dibattito sociale e culturale, per far scaturire da esso il conflitto fondamentale del tempo presente: quello tra fede e libertà, sul precario confine tra pensiero laico e religioso. Una giovane donna incinta in cerca di aborto è rapita e sequestrata, i misteriosi carcerieri gentili e a volte impacciati, non sono terroristi. Sono un prete e una sua aiutante, membri di un’organizzazione per la difesa della vita che intendono accudire amorevolmente la donna per tutta la gravidanza e provvedere alle spese per la crescita del figlio. Nonostante la situazione estrema, in cui è immersa, la commedia è venata di ironia e l’andamento ritmico è scandito dal count-down della vita che cresce in grembo a Keely, il cui esito sarà sospeso fino all’ultima scena. Il testo fa emergere nell’immagine della ragazza incatenata al letto, sotto gli occhi del sacerdote, l’assurdo paradosso che trasforma l’amore in violenza, la carità in sopruso. Sullo sfondo il dibattito sui confini del libero arbitrio e il tema della famiglia, agognata e messa in discussione anche attraverso il personaggio del marito richiamato sulla scena dal sacerdote. Ma Keely and Du non si limita a raccontare uno scontro. E’ l’amicizia che nasce tra le due donne ad elevare il dramma dalla sfera ideologica a quella più profondamente umana. Tra gli interpreti spicca la presenza di Barbara Valmorin, attrice che tanto ha dato al teatro e al cinema italiani, e che restituisce al personaggio dell’anziana carceriera un’umanità e una saggezza femminile quasi ancestrale velata di ironia, nonostante le costrizioni del pensiero religioso. La regia e la scenografia assolutamente essenziali tendono a evidenziare l’atmosfera claustrofobia e paradossale in cui è immersa l’azione. Un tratteggio scabro quasi ieratico, con movimenti scenici che rendono lo spazio via via più angusto e contemporaneamente deflagrante di passioni e conflitti. La scrittura di Jane Martin, caratterizzata da un’estrema leggerezza pur affrontando un tema così denso e tragico, riesce a mantenere gli andamenti e l’ironia della commedia facendo emergere le contraddizioni di cui sono vittime i quattro protagonisti. E ciò che domina la pièce è il dubbio morale, il sospetto che forse ci potrebbe essere della verità anche nelle reciproche tesi antagoniste.